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Mamma Margherita entra in questa casa con tre figli e con la suocera: un fardello pesante, cui si devono aggiungere i debiti contratti per l'acquisto e la sistemazione. A quei tempi 504 lire di debito sono moltissime. Ciò nonostante la giovane vedova decide di lasciare la mezzadria e di vivere con quel poco di terra ereditata dal marito.
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L'abitazione appena acquistata aveva bisogno di numerosi adattamenti. Li aveva già preventivati il papà di Don Bosco, e a mamma Margherita non toccò altro che far accelerare i lavori per potervi entrare al più presto. Sorse così quella che in tutto il mondo sarà conosciuta come la casetta dei Becchi, erroneamente ritenuta casa natale di Don Bosco.
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Il testamento di Francesco Luigi Bosco, dettato al notaio Carlo Giuseppe Montalenti, di cui si conserva l'originale, così inizia: L'anno del Signore 1817, alli otto di maggio, ore cinque pomeridiane in casa del signor Biglione, abitata dall'infrascritto testatore ... Ha reso il presente suo testamento.... Ma il documento più toccante sulla morte del papà è stato scritto, nelle Memorie dell'Oratorio, dallo stesso Don Bosco: Il primo fatto della vita di cui tengo memoria è che tutti uscivano dalla camera del defunto e io voleva invece assolutamente rimanere. — Vieni, Giovanni, vieni meco, ripeteva piangendo mia madre. — Se non viene papà, non ci voglio andare, risposi. — Vieni invece: tu non hai più padre.
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Ecco una singolare veduta invernale della cascina Biglione, che cambiò vari proprietari e mutò anche aspetto per i successivi ampliamenti apportati.
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La casetta, più simile a un ripostiglio agricolo che a un'abitazione, era stata acquistata a credito da Francesco Luigi Bosco. C'erano state due annate cattive e le cose non andavano bene: pareva anzi che i padroni volessero vendere. A trent'anni, il papà di Don Bosco ritenne di avere la forza e la capacità di affrontare un debito iniziale per cominciare a mettersi in proprio e tentare di tirar fuori la famiglia dall'indigenza. Cinque mesi dopo aver firmato l'atto di acquisto, però, dovette fare testamento.
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Le quattro case che occupavano la collina dei Becchi erano chiamate Canton Cavallo. E sarà proprio un poverissimo fabbricato, incollato grazie ad un semplice muro divisorio a casa Cavallo, la nuova dimora di Mamma Margherita e dei tre orfani. Vi entreranno I'll novembre 1817, pochi mesi dopo la morte del capo-famiglia.
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La cascina Biglione è stata oggetto di un piccolo mistero storico. Non fu subito chiaro, infatti, che era stata questa la vera casa natale di Don Bosco. I documenti che lo provano sono numerosi e testimoniano che nella cascina Biglione morì il papà del Santo; che Mamma Margherita, dopo la morte del marito, venne citata dal proprietario per cattiva conduzione del fondo, e che qui fu fatto l'inventario dell'eredità lasciata dal defunto, per provvedere di tutori gli orfani.
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L'abitazione dei mezzadri era situata nel braccio più corto del corpo di fabbrica. Poche stanze, divise tra zona giorno e zona notte, rispondevano abbastanza bene alle necessità abitative: i contadini del resto vivevano poco in casa. È in questa abitazione che si trova la cantina nella quale il papà di Don Bosco contrasse la polmonite che lo portò alla tomba.
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Per 24 anni il nonno e il papà di Don Bosco lavoreranno duramente un fondo di 12 ettari di terreno. La cascina Biglione era una tipica struttura agricola piemontese, in cui l'abitazione civile e i locali adibiti al ricovero degli animali, alla conservazione dei prodotti e al lavoro agricolo erano contigui e funzionali.
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La famiglia conosce un breve periodo di sicurezza economica; poi la guerra contro la Francia, la svalutazione della moneta e il rincaro della vita compromettono tutto. D nonno di Don Bosco deve alienare gran parte della sua proprietà e adattarsi a fare 0 mezzadro presso la cascina Biglione. Siamo nel 1793. I Bosco sono approdati ai Becchi.
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La storia dei Bosco inizia a Chierì, un grosso centro a 15 chilometri da Torino. La prima data certa risale al 1627, e registra il matrimonio di un certo Giovanni Francesco Bosco. Funerali e matrimoni si alternano a traslochi e peregrinazioni, con un penoso contorno di guerre, carestie ed epidemie. Il nonno di Don Bosco, Filippo Antonio, nacque orfano. D papà di Don Bosco, Francesco Luigi, è figlio di seconde nozze.
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Al confine tra i comuni di Castelnuovo e di Capriglio sorge, di poco sulla pianura, una località chiamata i Becchi, dal cognome Bechis delle prime famiglie che l'hanno abitata. Siamo in una frazione di quelle quattro borgate che costituiscono il paese di Castelnuovo. Un pugno di case contadine che è entrato nella storia della Chiesa come luogo natale di un grande santo.
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Per concludere, ecco la più famosa interpretazione dell'opera di Don Bosco in versione scultorea. Commissionato dagli exallievi salesiani di tutto il mondo allo scultore Gaetano Cellini di Ravenna, il monumento è stato inaugurato il 23 maggio 1920. Chi arriva a Torino e scende in piazza Maria Ausiliatrice non può fare a meno di fermarsi ad ammirarlo. La figura di questo prete ha un fascino tutto particolare, quello che ha fatto esclamare a Paul Claudel: Don Bosco, bastava guardarlo.
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Tra i pittori viventi il primato delle opere a soggetto salesiano spetta al prof. Caffaro-Rore di Torino. Sono ben 36 i suoi quadri distribuiti tra case salesiane e chiese. Questo è stato seguito per conto della direzione Elle Di Ci di Torino, negli anni '50. La perfezione tecnica e la grande somiglianza hanno fatto spesso pensare ad una fotografia.
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Per la canonizzazione il quadro ufficiale fu invece affidato al pittore biellese Crida. L'opera incontrò subito il favore della critica e l'approvazione del pubblico. L'artista si meritò così la qualifica di pittore ufficiale di Don Bosco. Tra i suoi dipinti più conosciuti figurano gli episodi di storia salesiana esposti nella nuova sacrestia della Basilica di Maria Ausiliatrice.
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Per la beatificazione di Don Bosco, il quadro ufficiale fu affidato al pittore Enrie. La solennità del momento ha preso la mano all'artista che così ha caricato di eccessiva gravità il personaggio, facendo trasparire dal suo volto un'accentuata serietà, anziché quell'espressione gioviale e comunicativa per la quale Don Bosco andava famoso.
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Giuseppe Rollini è il pittore che collaborò con il fotografo Deasti per le foto mortuarie di Don Bosco. Questo quadro ad olio (cm 119x85,5) ha avuto un certo successo, e fu riprodotto in varie maniere. Del Rollini sono anche il dipinto che rappresenta Don Bosco inginocchiato davanti alla statua di Maria Ausiliatrice e il quadro di mamma Margherita, conservato nel Museo delle Camerette.
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Opera del pittore Paolo Gaidano, questo è il primo quadro ufficiale di buona fattura, realizzato durante la vita di Don Bosco e probabilmente commissionato dai Superiori dell'Oratorio di Valdocco. Evidente l'influsso delle foto di Sampierdarena. Si conserva nella cappellina del Museo di Don Bosco a Valdocco.
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Nell'Istituto Salesiano di san Benigno Canavese si trova esposto questo quadro in formato ovale, firmato da Enrico Benzoni e datato 1886. Benzoni era artista bresciano che, avendo già abbozzato un ritratto di Don Bosco, riuscì ad ottenere da lui qualche momento di posa per la rifinitura del dipinto. Il quadro è stato lasciato ai Salesiani di San Benigno, come copertura della retta del figlio del pittore.
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Don Bosco è stato il soggetto per diversi pittori che si sono cimentati con la sua immagine. Il primo fu un oscuro artista di Varazze. Il suo quadro rivela più stima e affetto per il personaggio che perizia. A Varazze Don Bosco era caduto ammalato, all'inizio dell'anno scolastico 1870-1871. La gravità del male per molti giorni fece temere il peggio. Evidentemente il pittore rimase impressionato da Don Bosco convalescente e conservò nel ritratto i segni ancora visibili della malattia, appena superata.
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Fissiamo ancora lo sguardo su questa ultima foto della serie dei ritratti per imprimerci negli occhi e nel cuore il volto sereno e amabile di Don Bosco.
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La morte ha solo segnato di pallore il volto di Don Bosco, per il resto i lineamenti sono rimasti intatti. I visitatori sono sfilati a migliaia, ma quelli che non sapevano darsi pace erano i suoi ragazzi, a cui Don Bosco aveva riservato l'ultimo pensiero: Dite che li aspetto tutti, tutti in Paradiso.
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Don Bosco è morto il 31 gennaio 1888, alle 4 e 45 del mattino. Il fotografo Deasti e il pittore Rollini si incaricano di documentare la triste circostanza. La salma, rivestita dei paramenti sacerdotali, fu adagiata su un seggiolone a braccioli e così preparata per ricevere l'ultimo saluto della Famiglia salesiana e della cittadinanza torinese.
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Ultima fotografia di Don Bosco con i Missionari della dodicesima spedizione, destinati all'Equatore. Non abbiamo notizie sicure del giorno in cui è stata eseguita: sappiamo solo che tale spedizione venne salutata da Don Bosco, ammalato e stanco, la sera del 6 dicembre 1887.
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Spagna, 1886. Durante il suo soggiorno, Don Bosco assieme a tutti i giovani della casa salesiana, fu ospite di Don Luis Pasqual. È il 3 maggio e la splendida villa Marti Codolar per un giorno si trasforma in oratorio. Un avvenimento da ricordare con tanto di gruppo fotografico. n risultato è vivace e spontaneo e Don Bosco è contagiato dall'allegria generale: i suoi 72 anni si vedono tutti ma c'è ancora dell'energia nel suo portamento, accompagnata dalla sua tradizionale dolcezza.
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Gli exallievi sono un'altra di quelle invenzioni vincenti di Don Bosco che hanno fatto storia. Ogni anno, all'Oratorio di Valdocco veniva fissata una data per radunare attorno al Padre tutti gli antichi allievi, laici e sacerdoti. Nel 1884 gli exallievi sacerdoti hanno chiesto e ottenuto da Don Bosco questa foto ricordo.
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Terza spedizione missionaria, 1877. Per la prima volta si aggregano ai Salesiani anche le figlie di Maria Ausiliatrice da Mornese. Nella foto-ricordo impressiona la giovane età dei partenti, a testimonianza della grande fiducia che Don Bosco nutriva nel confronto deUe generazioni più giovani.
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In dettaglio, il gesto più significativo del momento: Don Bosco consegna a Don Giovanni Cagliero, capo della spedizione, il libretto delle Costituzioni, come guida, ricordo, presenza del Padre tra i figli che partono.
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1875: Don Bosco realizza il suo sogno di mandare i Salesiani nelle Americhe, tra i tigli degli emigrati. L'avvenimento è importante e movimenta l'opinione pubblica. A Valdocco arriva persino il console argentino, da Savona.
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I superiori dell'Oratorio nell'anno 1870. In mezzo ai suoi figli, con l'aria orgogliosa del padre soddisfatto, Don Bosco è ormai riuscito a dare alla sua opera le basi sufficienti per crescere e svilupparsi.
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La musica come strumento educativo: altra intuizione di Don Bosco. Ed eccolo con la sua Banda dell'Oratorio del 1870. C'è allegria, anche perché si sta celebrando il trentennale dell'Oratorio. Per Don Bosco un oratorio senza musica è un corpo senz'anima. Tra i componenti del gruppo ci sono i più bei nomi della tradizione musicale salesiana: dal maestro De Vecchi a Buzzetti a Don Cagliero a Giuseppe Dogliani.
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La confessione e la direzione spirituale sono per Don Bosco strumenti educativi irrinunciabili; e la foto è un documento fondamentale per la storia della pedagogia salesiana. Il gruppo ha una sua spontaneità, a dispetto dei lunghi tempi di posa che la tecnica richiedeva. Il penitente è Paolo Albera, che sarà poi il secondo successore di Don Bosco.
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Qui vediamo Don Bosco fotografato fra i suoi giovani. Siamo nel 1861 e l'incarico è stato affidato a Francesco Serra, exallievo dell'Oratorio. Curioso l'effetto di mezzobusto, che la corona dei ragazzi crea. Don Bosco appare orgoglioso di essi ed esprime una gioia pacata e serena.
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Oltre ai ritratti, Don Bosco è stato fotografato in situazioni diverse. Qui è nella sua camera, occupata dal 1853 al 1861: il documento ha una grande importanza storica, perché in questa camera sono entrati personaggi famosi e sono avvenuti episodi determinanti per l'opera salesiana. Qui, soprattutto, i suoi primi figli hanno potuto conoscere la paternità e la bontà di Don Bosco.
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La didascalia del biografo dice: L'ultima foto di Don Bosco, presa a Torino da Carlo Deasti, il 6 dicembre 1887. La data è improbabile, ma resta comunque l'ultimo documento fotografico di Don Bosco vivente. Serio, rigido, Don Bosco ha ceduto alle insistenze dei suoi figli che volevano assicurarsi ancora un ricordo della sua immagine, ma è chiaro come la malattia e la stanchezza hanno avuto la prevalenza sulla sua disponibilità.
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Arrivato in Spagna, Don Bosco fu preso d'assalto ancora una volta dai fotografi. Il Signor Raimundo Fages Buxò, tentando qualche istantanea, è stato tradito dalle condizioni della luce. La foto nella diapositiva, benché ritoccata, non è un grosso risultato se non fosse un documento preciso della sofferenza di Don Bosco in quei giorni: la sua stanchezza doveva essere enorme, se si osservano quegli occhi persi nel vuoto e quella bocca priva di sorriso.
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La terza foto Luzzati è uno splendido profilo. L'immagine ha fatto storia, per quello che dice di Don Bosco: una faccia energica, franca, affinata dalla sofferenza, che traspira bontà semplice e generosa, così come l'hanno ammirata i suoi primi figli.
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Mani conserte e volto di tre quarti. Qui è chiaro che Don Bosco sta allo scherzo, e tutta quella confusione, con il treno che aspetta, lo ha divertito.
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Questa è la prima delle tre foto realizzate a Sampierdarena nel 1886, dal signor Angelo Ferretto, operatore dello Stabilimento Angelo Luzzati, di Genova. Don Bosco è di passaggio, diretto in Spagna, e il marchese Spinola non vuole lasciarsi scappare l'occasione. La seduta di posa è organizzata in fretta e furia e se non fosse stato per la condiscendenza del capostazione, Don Bosco avrebbe anche perso il treno.
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Nizza 1885: Don Bosco ha 70 anni, l'età e la stanchezza sono evidenti, ma dal ritratto emerge anche il suo temperamento volitivo, la sua forza. Curiosa la capigliatura ricciuta simile al manto dell'agnello. È il ritratto di Don Bosco più diffuso in Belgio.
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Don Bosco scrittore. Con questa didascalia, la foto, datata 1884, è stata utilizzata in molte pubblicazioni. L'insieme infatti è gradevole, e Don Bosco pare aver raggiunto una certa disinvoltura con i fotografi dell'epoca.
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Francese è anche questa interpretazione di Don Bosco con crocifisso. La somiglianza con il soggetto è così scarsa da far pensare che si sia sfruttato un sosia. L'immagine ha cominciato a diffondersi dopo l'introduzione della causa di beatificazione e si rifa chiaramente ad una posa classica di san Luigi Gonzaga.
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Ecco un'altra curiosa elaborazione fotografica. L'originale dovette essere un dipinto realizzato da una pittrice parigina nel 1883, certa E. Salanson, allo scopo di aiutare l'opera salesiana. La bravura della pittrice ha saputo togliere molti anni a Don Bosco e presentarlo, con una certa somiglianza, in versione giovanile.
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Probabilmente questa foto, firmata da B. Mariani di Ivrea, è una edizione italiana delle foto marsigliesi: il rabat (la pettorina) è stato tolto, e dell'immagine, così ritoccata se ne è trovata copia nel 1984, presso una famiglia di benefattori lionesi.
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Lo sconosciuto fotografo francese ha insistito, ed ecco Don Bosco di profilo con un'espressione poco convinta e divertente.
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1881, Marsiglia. Don Bosco arriva in città per salutare un gruppo di missionari partenti e per risolvere alcune difficoltà sollevate dal governo francese contro le sue scuole. Per farsi fotografare, indossa la divisa del clero francese, per rispetto alle tradizioni del luogo e per non essere tacciato di nazionalismo. Risulta che la cosa lo abbia divertito, anche per la sua concomitanza con il carnevale.
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Nella terza posa, dello Schemboche, Don Bosco appare imponente, e seduto su una poltrona. Questa è la foto ufficiale della beatificazione, coerente con lo stile del tempo ma molto lontana dal rendere l'affabilità, la mitezza e il sorrìso di Don Bosco.
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In questa variante, Don Bosco è messo di profilo e in ginocchio. È una delle foto più sfruttate, per quel volto così spontaneo e per quei lineamenti così ben definiti e naturali.
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Al torinese Schemboche si deve un'altra serie di foto, in cui, a detta di chi lo ha conosciuto, Don Bosco è somigliantissimo. Qui la ricercatezza dell'inquadratura è sottolineata da quella colonna, e dal drappeggio elegante della veste. Di veramente suo Don Bosco ci ha messo solo le scarpe, tutte sformate. Per il resto ha lasciato fare. Siamo nel 1880.
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Stessa atmosfera mistico-religiosa, realizzata con un manierismo ancora più accentuato. Riprodotta su cartoncino raffinato, la foto porta la firma di Giuseppe Sartori. Si tratta del probabile autore di tutte e quattro le foto, di cui abbiamo detto.
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Questa posa è del 1878. Si vuole mettere in risalto il ruolo sacerdotale di Don Bosco, mediante la presenza di una precisa simbologia religiosa: Crocifisso, statua della Madonna, berretta. Il risultato è piuttosto statico e di maniera.
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Ecco il primo piano, ricavato da una foto di Giuseppe Sartori: dal volto traspare serenità e un pizzico d'arguzia.
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Questa è la prima di una serie di quattro foto, tra quelle raccolte da una speciale Commissione incaricata di reperire tutto il materiale documentario sulla vita di Don Bosco. Si tratta di foto molto somiglianti Puna all'altra, tanto da far pensare che siano state realizzate nella stessa occasione.
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Altra posa, abbondantemente ritoccata per escludere rughe e ombre dal viso. Databile attorno al 1875, deve essere stata eseguita per scopi di promozione dell'opera salesiana.
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Anche questa era una foto pubblicitaria, nel retro della quale Don Bosco scriveva di proprio pugno pensieri religiosi o preghiere. Notevole la vivacità dello sguardo, rara nei ritratti del tempo.
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Don Bosco a 54 anni, papalina e mani incrociate: più che in meditazione sembra in rassegnazione. Ai suoi benefattori doveva piacere così, se questa foto realizzata a Torino dalla Fotografia Alfieri è arrivata fino a Lecco, dove è stata trovata in casa di una benefattrice.
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Qualche anno dopo, (1869) sempre a Roma, tocca al fotografo DeUa Valle ritrarre il Santo. La posa è classica ed esprime austerità. Le indicazioni della regia devono aver convinto poco Don Bosco, che così risulta impacciato e per niente spontaneo.
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Nella stessa tornata di posa, Don Bosco si impose al fotografo che voleva eseguire un'altra foto e inventò invece una inquadratura più pastorale, coinvolgendo nella scena il figlio del fotografo, il maggiordomo di casa Vimercati e il suo segretario Don Francesia.
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Roma 1867. Ospite del conte Vimercati, Don Bosco sta lavorando per presentare a Pio IX i documenti necessari all'approvazione della Società di san Francesco di Sales. L'ospite lo prega di lasciargli un ricordo fotografico e Don Bosco posa tranquillo davanti al fotografo Achille De Sanglau.
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Il rapporto di Don Bosco con la fotografia testimonia la sua modernità e l'importanza che egli atribuiva all'immagine, come mezzo di informazione e di promozione delle sue opere. I suoi figli ne scopriranno in seguito anche l'importanza documentaria e per questo lo inviteranno a posare, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Questo è un curioso ritratto del 1862, realizzato da Bartolomeo Bellisio.