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Nel 1867 fu collocata sul vertice della cupola una grande statua della Madonna. Scrìve Don Bosco: La statua è alta quattro metri ed è sormontata da dodici stelle. È in rame dorato. Essa risplende luminosa a chi la guarda da lontano al momento che è riverberata dai raggi del sole.
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Diresse la costruzione del Santuario Carlo Buzzetti, capomastro. Era stato dei primissimi ragazzi dell'Oratorio. Si era addormentato con altri giovani sui gradini della balaustra in San Francesco d'Assisi, mentre un prete predicava diffìcile. Don Bosco li aveva destati e condotti in sacrestia. Erano diventati amici: un'amicizia che durava ormai da 27 anni.
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Così era la struttura architettonica del Santuario di Maria Ausiliatrice come lo costruì Don Bosco. Col passare degli anni, Don Bosco apparirà sempre più alla gente come il santo dell'Ausiliatrice, fino a provocare lo scambio dei termini, e a far dire PAusiliatrice la Madonna di Don Bosco.
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Dietro l'abside del Santuario, ai tempi di Don Bosco, si aprivano due sacrestie. Le pareti erano ricoperte di ex voto che i devoti venivano a portare come segno di grazie ricevute. Nella prima sacrestia, Don Bosco aveva il suo confessionale, affollato in continuazione da penitenti che volevano riconciliarsi con Dio.
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Nella cappella a sinistra, l'altare era dedicato ai Cuori SS. di Gesù e di Maria. Nel 1891, ricorrendo il primo cinquantenario dell'Opera Salesiana, la cappella fu dedicata a San Francesco di Sales, patrono della Congregazione. Il quadro è del Reffo, artista torinese.
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Nella cappella a destra della navata centrale era l'altare dedicato a Sant'Anna, la mamma della Madonna. Dopo i restauri eseguiti nel 1890, il quadro principale raffigurò i martiri di Torino: Solutore, Avventore e Ottavio. In primo piano rimase un piccolo quadro di Sant'Anna.
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Nella crociera a destra c'era l'altare dedicato a S. Pietro. Il quadro rappresentava Gesù che consegna le chiavi del Regno a Pietro. A questo altare Don Bosco veniva sovente a celebrare la S. Messa, e un giorno moltiplicò le ostie.
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Il Santuario dì Valdocco diventava centro d'irradiazione della devozione alla Madonna in scala sempre più vasta: santuario locale e santuario mondiale. I Salesiani che partivano per le Missioni avevano il ricordo indimenticabile del Crocifìsso ricevuto ai piedi di Maria Ausiliatrice, e trapiantavano il nome e la devozione all'Ausiliatrice in tutto il mondo.
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Da quel 1868, il mese di maggio di Vaìdocco in onore dell'Ausiliatrice divenne una delle funzioni religiose più frequentate della città e del Piemonte. Molti accorrevano anche dalla provincia e da più lontano.
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Il Santuario fu consacrato il 9 giugno 1868. Qualcuno disse che quello era un miracolo di Don Bosco, ma lui rispose: Io non sono niente. È il Signore, è Maria SS. che si degnarono di servirsi di un povero prete per compiere la loro opera. Questa foto è del primo Novecento. Tra i fedeli nel costume del tempo, si scorge anche una delle prime automobili che si costruirono a Torino.
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Don Bosco affidò l'impresa al capomastro Carlo Buzzetti. Gli scavi furono compiuti in parte nell'autunno del 1863, e ripresi nel marzo 1864. Alla posa della prima pietra, Don Bosco rivolto a Buzzetti gli disse: Ti voglio dare un acconto. Gli rovesciò nelle mani il borsellino: 8 soldi, nemmeno mezza lira. Don Bosco sorrise: Stai tranquillo, la Madonna penserà lei a far arrivare il denaro necessario.
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Nell'ottobre 1844 Don Bosco ebbe un sogno: Una pastorella mi invitò a guardare a mezzodì. Vidi un campo... Guarda di nuovo, mi disse, e guardai di nuovo. Allora vidi una stupenda ed alta chiesa. Nell'interno era una fascia bianca in cui a caratteri cubitali era scritto: Qui è la mia casa, di qui uscirà la mia gloria. Era il primo impulso a costruire il Santuario di Maria Ausiliatrice.
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Questa è la prima statua di Maria Ausiliatrice, in legno dorato, che fu venerata nel suo Santuario di Valdocco. Descrìvendo l'Ausiliatrìce, Don Bosco scrisse: Sembra che parli, e voglia dire: Io sono qui per accogliere le preghiere dei miei figli, per arricchire di grazie e di benedizioni quelli che mi amano.
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A 58 anni, per ordine del Papa, Don Bosco scrisse la storia dei suoi primi decenni. Riempì tre grossi quaderni, 180 pagine, e li intitolò Memorie per l'Oratorio e per la Congregazione Salesiana. Con le date fece un po' di pasticcio, ma episodi, ricordi, particolari hanno una freschezza vivissima.
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Questo è un antico passaporto di Don Bosco, datato 1850. Era stato invitato in una parrocchia di Milano. La Lombardia, in quel tempo, era dominio austriaco, e Don Bosco dovette munirsi di passaporto. Vi sono elencati i suoi connotati: età anni 35, statura once 38, capelli castani scuri, fronte media, sopracciglia castane, occhi idem, faccia ovale, carnagione bruna, condizione maestro elementare.
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Queste stoviglie, dono di benefattori, erano sul tavolino di Don Bosco durante la sua ultima malattia.
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Cappello e bastone accompagnarono sovente Don Bosco negli ultimi anni. Andava a chiedere l'elemosina per le tante case che stava costruendo in ogni parte del mondo. Scrisse Don Rua: Era una pena vederlo salire e scendere scale per chiedere elemosine, sottoponendosi anche a dure umiliazioni.
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I soldi furono sempre il tormento di Don Bosco. Non ne ebbe mai abbastanza per il pane e gli abiti dei suoi giovani, per la costruzione delle sue case e per le macchine dei suoi laboratori. La Provvidenza arrivò in suo aiuto, ma quasi sempre con quel quarto d'ora di ritardo che lo faceva tanto penare.
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Queste nocciole sono conservate in una bacheca di vetro. L'episodio della loro moltiplicazione è ricordato da più di dieci testimoni. Un sacchetto di nocciole gli era stato donato nel dicembre 1885. Ne regalò a piene mani a un gruppo di ragazzi. Quando si credeva che non ce ne fossero più, ne distribuì ancora abbondantemente a 64 alunni del ginnasio e a 40 cantori.
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Don Bosco trascorse moltissime ore a confessare i suoi ragazzi e la gente comune. Era una delle sue gioie profonde dare alle anime il perdono di Dio. Questo è il suo confessionale, collocato all'inizio nella sacrestia della cappella Pinardi, poi nel coro della chiesa di San Francesco di Sales, nella sacrestia del Santuario di Maria Ausiliatrice, e oggi nel museo.
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Nel grande salone che si allarga a nord delle camerette, e che servì come studio dei ragazzi per tanti anni, sono conservati i ricordi di Don Bosco. Sono indumenti personali, camici e pianete che Don Bosco usò nella celebrazione della Messa.
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I due ragazzi si spaventarono. Non sapevano di trovarsi davanti a un'estasi. Garrone corse via a chiamare Don Berto, il segretario di Don Bosco. Non trovò nessuno, e quando tornò, Franchini, pallido, gli disse che Don Bosco era rimasto in aria per quasi dieci minuti.
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Questo altarino portatile era collocato nell'anticamera di Don Bosco. Nel dicembre 1878 gli servivano Messa due ragazzi, Garrone e Franchini. All'elevazione videro Don Bosco con la faccia luminosa, i suoi piedi si staccarono dalla predella e si sollevarono nell'aria.
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Durante gli ultimi istanti, Don Lemoyne suggerì a Don Bosco: Pensi a Gesù in croce. Gli rispose: È quello che faccio sempre. I Salesiani hanno conservato con affetto il piccolo crocifisso che Don Bosco stringeva nelle mani mentre moriva.
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Seggiolone della veranda e foto dì Don Bosco morto La sua salma fu rivestita degli abiti sacerdotali e adagiata su questo seggiolone. I suoi giovani e migliaia di persone sfilarono per dargli l'ultimo saluto, pregando e piangendo.
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In questo letto disse le ultime parole ai suoi Salesiani. Prese per mano Don Rua e mons. Cagliero e disse adagio: Vogliatevi bene come fratelli. Amatevi, aiutatevi e sopportatevi... Promettetemi di amarvi come fratelli. Diede anche l'ultimo saluto ai suoi giovani: Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso. Morì all'alba del 31 gennaio 1888.
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Seduto su questo piccolo divano, Don Bosco scrisse sul retro bianco di alcune immaginette le sue ultime parole da mandare ai cooperatori per il Natale 1887. Ecco le ultime due frasi che scrisse: Chi fa del bene in vita, trova bene in morte. In Paradiso si godono tutti i beni, in eterno.
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Su questa scrivania vergò con mano stanca le sue ultime lettere. 11 piccolo globo gli servì per seguire sospirando (come dice il suo biografo) le imprese dei suoi missionari, che nel 1875 erano sbarcati nell'America del Sud, e in otto anni aprirono opere per ragazzi in Argentina, Uruguay, Brasile, Cile e Ecuador.
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Una scaletta di legno aiutava le sue gambe gonfie a salire e scendere dal letto. Un campanello il cui filo scorreva sopra il letto, serviva da richiamo in caso di necessità.
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Solo negli ultimi mesi di vita, il letto di Don Bosco fu trasportato in quest'ultima stanza, separando l'ufficio di lavoro dalla stanza da letto. Il lavoro stressante e continuo, i debiti, le preoccupazioni, avevano ormai segnato profondamente il suo fisico. Aveva quasi 73 anni.
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Alle finestre della galleria si affacciano i tralci delle viti con i grappoli che s'arrampicavano su dal cortile. Don Bosco li coglieva con gioia per offrirli ai suoi figli e benefattori. Nel 1886, con gesto gentile, non volle che si staccassero i grappoli prima dell'arrivo di mons. Cagliero dall'America. Era il suo primo missionario.
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Il lungo corridoio sul fondo fu battezzato un po' pomposamente galleria Don Bosco. Su questo seggiolone egli confessò negli ultimi tempi. Nel 1887 si confessò da lui un ragazzo, Luigi Orione, che oggi veneriamo beato. Aveva tanta paura di non confessarsi bene. Don Bosco stracciò i fogli da lui riempiti di peccati, gli sorrìse, e disse: La tua confessione è fatta. Ricordati che noi due saremo sempre amici.
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Nel 1876 questo edificio fu allungato di alcuni metri. Se ne ricavarono due nuove stanze e un lungo corridoio. Una stanza fu trasformata in cappella e benedetta dal cardinale Alimonda. Quando non poteva scendere nel Santuario, Don Bosco celebrava la Messa qui, con sereno raccoglimento. L'ultima volta fu il 14 dicembre 1887.
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Questa antichissima fotografia ci mostra Don Bosco al suo tavolo di lavoro. Nella semplicità di questa stanza egli scrisse decine di libri per i suoi ragazzi e la gente del popolo. Scrìsse migliaia di lettere per chiedere offerte, ringraziare, dare consigli di vita cristiana. Il suo epistolario ne raccoglie attualmente oltre 2800.
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Nel 1861 l'edificio fu raddoppiato. Don Bosco si spostò nella stanza di fronte, dove abitò e lavorò per 27 anni. Visitatori sempre più numerosi di Torino e di ogni parte d'Italia salivano ad incontrarlo, per avere da lui un consiglio, una benedizione, per portargli un'offerta, o semplicemente per confessarsi da lui.
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In questa stanzetta, abitata da Don Bosco dal 1853 al 1861, per i Salesiani è avvenuto tutto. Il 26 gennaio 1854 Don Bosco raduna qui i giovani Rua, Cagliero, Rocchietti, Artiglia, e propone loro di iniziare la Congregazione Salesiana. Il 29 ottobre di quello stesso anno, in questa stessa stanza, entra per la prima volta Domenico Savio. Il 25 marzo 1855 Michele Rua si inginocchia su questo pavimento, pronuncia i voti davanti a Don Bosco e diventa il primo Salesiano. Qui ancora Don Bosco ha scrìtto le prime Regole della Società Salesiana.
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Quando i pellegrini entrano in Valdocco, corrono con lo sguardo lassù, dove sono conservate con geloso amore le camerette di Don Bosco e i suoi ricordi. Ai piedi dell'edificio, dov'era l'orto di mamma Margherita, sorge il monumento a Don Bosco. Lo scultore Cellini ha cercato di fissare nel bronzo il volto sereno e il sorriso buono che incantava i suoi ragazzi.
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A livello del cortile, sul lato destro, è posta una lapide che ricorda la festa della riconoscenza celebrata a Valdocco con grande solennità. Ogni anno, il 24 giugno, a Valdocco si celebrava la festa onomastica di Don Bosco. Don Lemoyne ce ne ha lasciato una bella descrizione: Era calato il sole. Dai cortili saliva il mormorio dei giovani che passeggiavano allegramente. Su tutte le finestre e le ringhiere dei poggioli erano accese cento e cento fiammelle nei bicchieri colorati. In mezzo al cortile stava la banda musicale. Don Bosco e io stavamo alla finestra. Lo spettacolo era incantevole.
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Nella notte del 15 maggio 1861 scoppiò un violento temporale, e un fulmine, penetrato nella camera di Don Bosco, rischiò di provocare mah seri. Qualcuno consigliò di mettere un parafulmine. Don Bosco s'arrampicò sul palco dei muratori, e collocò tra i due oblò una statuina della Madonna: Ecco il nostro parafulmine.
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Nel 1874 si prolungò l'edificio delle camerette, e Don Bosco fece piantare a terra alcune viti. Da allora così si presenta la facciata, rivestita da un intreccio di viti che in autunno offrono profumati grappoli di uva.
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Su questo ballatoio Don Bosco conduceva gli ospiti illustri perché potessero contemplare la marea di ragazzi che giocavano nel cortile sottostante. Di qui il Santo si affacciava per partecipare ai loro giochi, parlare con loro e talvolta lanciare manciate di caramelle. Sui tetti si affacciano ancora oggi gli abbaini, dove dormivano i primi Salesiani. Erano stanzini gelidi di inverno e per lavarsi aprivano il finestrotto, raccoglievano la neve e si strofinavano energicamente la faccia.
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Tutte le volte che Don Bosco usciva dalla sua camera per scendere nei cortili, percorreva questo ballatoio tra le grida festanti dei ragazzi. Oggi il ballatoio è tutto ornato di fiori, quasi a richiamare con venerazione il sogno del pergolato di rose piene di spine che Don Bosco immaginava di percorrere con i suoi ragazzi (cf MB 3, 32).
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Nel costruire la prima parte del nuovo ospizio, Don Bosco aveva progettato anche un braccio di fabbricato che doveva prolungarsi verso mezzogiorno, parallelamente alla nuova chiesa. Egli non ebbe mai il denaro sufficiente per fare di Valdocco una costruzione unitaria. Questo edificio centrale, che ospitò la sua camera-ufficio per 35 anni, fu costruito in quattro tempi successivi. Nel cortile sottostante, già orto di mamma Margherita, è stato recentemente eretto un monumento a Don Rua.
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Questo ampio porticato fu costruito nel 1860, quando Don Bosco elevò un nuovo edificio al posto.della casa Pinardi. L'inverno, a Torino, è lungo e nevoso, e la primavera è molto sovente la stagione delle piogge. Don Bosco volle questo porticato perché i giovani potessero giocare in ogni stagione.
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Una sera piovosa mentre attraversava il terreno boschivo che separava Valdocco da Torino, due malviventi gli gettarono addosso un mantello e cominciarono a malmenarlo. Don Bosco gridò. Fu allora che saltò fuori da una macchia quel cane. Balzò alla gola dei malviventi e li mise in fuga. Poi accompagnò Don Bosco fino a Valdocco.
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Il Grigio si fece vedere diverse volte a Valdocco. Una sera, non avendo incontrato Don Bosco, andò in refettorio per assicurarsi che egli fosse in casa, andando a fargli festa. Don Bosco tentò più volte di scoprire la provenienza di quel cane, ma non riuscì a niente. Nel 1872, alla baronessa Frascati che l'interrogava, rispose: Dire che sia un angelo, farebbe ridere. Ma neppure si può dire un cane ordinario.
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Sotto il porticato c'è una scala che ai tempi di Don Bosco portava alla cucina di mamma Margherita. Sul primo gradino, una sera dell'inverno 1854, Don Bosco vi trovò sdraiato un misterioso cane che gli impedì di uscire di casa. Si seppe poi che qualcuno lo attendeva per fargli del male. Per il colore del suo pelo, Don Bosco lo chiamò Grigio. Una lapide ricorda questa singolare figura che ebbe un ruolo importante nella vita di Don Bosco.
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Ogni sera i ragazzi dicevano le preghiere davanti a una statuetta della Madonna, che è ancora sotto il porticato, a Valdocco. Al termine, Don Bosco saliva sul pulpitino e dava la buona notte: alcune buone parole che chiudevano la giornata. Don Bosco era geloso di questa buona notte: la dava sempre lui, quando poteva (MB 6, 94). Da questo pulpitino egli raccontò i famosi sogni, attesi con viva curiosità, perché sovente in essi prevedeva l'avvenire.
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...Tutti gli alunni, circa 400, passando dalla chiesa al cortile, sfilarono davanti a Don Bosco e ricevettero da lui un pane, insieme a una parola buona e ad un sorriso. Quando tutti furono passati, riesaminai la cesta: c'era la stessa quantità di pagnotte di prima... Questa fu la sola causa che mi indusse a restare all'Oratorio e farmi Salesiano (MB 6, 777).
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Vicino a questa porta laterale, da cui uscivano i ragazzi dopo un ritiro spirituale, il 22 ottobre 1860 Don Bosco operò un prodigio. Francesco Dalmazzo, che fu testimone, affermò sotto giuramento: Quando arrivò Don Bosco a distribuire il pane, guardai nel cesto e vidi che conteneva una ventina di pagnotte...
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In questa chiesa, oggi rinnovata e arricchita di marmi, dissero la loro Prima Messa il beato Michele Rua, il 30 luglio 1860, il primo missionario salesiano Don Cagliero e Don Francesia il 15 luglio 1862. Vennero pure a pregare Michele Magone e Francesco Besucco, due ragazzi che rinnovarono nell'Oratorio la bontà di Domenico Savio.
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Un altare di questa chiesa, Don Bosco volle dedicarlo a san Luigi Gonzaga. Il giovane principe che lasciò la corte per consacrarsi al Signore era da lui presentato a tutti i giovani come modello di carità e di purezza.
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L'8 giugno 1856 Domenico Savio tornò a inginocchiarsi davanti a questo altare, non più solo, ma in compagnia dei migliori ragazzi dell'Oratorio. Aveva fondato la Compagnia dell'Immacolata: un gruppo di piccoli apostoli, che si trapiantò in ogni casa salesiana, diventando un nucleo di ragazzi impegnati e di sicure vocazioni salesiane.
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Da questo pulpito, che si trova oggi nel museo storico di Valdocco, per oltre 10 anni Don Bosco predicò ai suoi ragazzi. Da questo pulpito Domenico Savio sentì la predica che lo mise profondamente in crisi: È volontà di Dio che ci facciamo santi; è assai facile riuscirci; un gran premio è preparato in Cielo a chi si fa santo (Bosco, Vita di Domenico Savio, SEI ed. 1963, pg. 44).
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L'8 dicembre 1854 il Papa proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione. In quelle stesse ore, Domenico Savio s'inginocchiò davanti a questo altare e si consacrò alla Madonna con questa brevissima preghiera: Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere anche un solo peccato.
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In questa stessa chiesa, dietro l'altare maggiore, Domenico Savio ebbe un'estasi davanti al tabernacolo che durò più di sei ore.
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A questa balaustra di legno, oggi conservata nel museo presso le Camerette di Don Bosco, i ragazzi dell'Oratorio si inginocchiavano per ricevere la Comunione. Dal 29 ottobre 1854 si inginocchiò anche san Domenico Savio, il ragazzino di 12 anni appena arrivato dal suo paese, Mondonio.
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Nel 1854 ci fu a Torino il grande colèra che uccise più di tremila persone. Anche i ragazzi dell'Oratorio andarono per la città a soccorrere i colerosi. Un ragazzo, che non aveva più nulla con cui coprire il suo malato, chiese ancora qualcosa alla mamma. E Margherita lo portò a questo altare, e gli diede la tovaglia bianca. Portala al tuo malato. Non credo che il Signore si lamenterà.
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Fu consacrata il 20 giugno 1852, festa della Madonna Consolata. Per 16 anni (fino al 1868) essa rimase il cuore della Congregazione Salesiana che nasceva. Dal 1852 al 1856 sostava a lungo negli ultimi banchi, sgranando il Rosario, la vecchia e stanca mamma Margherita.
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Una sera del febbraio 1851, mentre con mamma Margherita aggiustava gli abiti dei ragazzi che dormivano, Don Bosco mormorò quasi tra sé: E ora voglio innalzare una bella chiesa in onore di san Francesco di Sales. La prima pietra fu posta il 20 luglio. A costruirla, portando calce e mattoni, diedero mano anche i ragazzi dell'Oratorio.