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Uno degli aspetti più romantici di queste passeggiate era costituito dalla visita a qualche castello. Le nobili famiglie, sostenitrici dell'Opera di Don Bosco, si ritenevano onorate di ospitare la sua vivacissima brigata nelle vetuste dimore dei loro avi. Ecco la torre di Lu e il castello di Canterano, due dei tanti monumenti visitati.
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Ogni punto elevato dei colli monferrini, graziosi, feraci e salubri, è il centro d'un panorama dei più belli... Così appare Lu con la sua torre romanica. I ragazzi di Don Bosco raggiunsero questo paese il 14 ottobre 1861, nel pomeriggio. Saliti sulla torre salutarono la popolazione con un concerto bandistico. Lu darà alla Congregazione Salesiana numerose vocazioni, prima fra tutte Don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco.
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Partiti da Casale toccarono San Germano, dove un'allegra bicchierata si trasformò in disastro per la rottura di una damigiana; poi attraversarono Occimiano, patria di quel grande missionario che fu Don Evasio Rabagliati, apostolo dei lebbrosi della Colombia. A Mirabello erano ad attenderli le autorità e la popolazione al gran completo. La famiglia Provera diede ospitalità ai 100 ragazzi per tre giorni. Trascorsero la festa della Maternità di Maria in un clima di grande entusiasmo. In questa occasione furono avviate con i Provera le trattative per la fondazione del primo collegio salesiano.
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A Casale si fermarono il 10,11 e 12 ottobre. Monsignor Calabiana li portò a visitare i restauri del Duomo dedicato asant'Evasio, di stile romanico lombardo. Pregarono nella magnifica chiesa di san Filippo, e alla sera offrirono al vescovo e alla cittadinanza musica, canti e teatro. D Cagliero fece eseguire per la prima volta la sua romanza L'orfanello.
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La strada che da Crea, attraverso Ozzano, conduce a Casale, era in quella stagione percorsa da decine di carri, carichi di uva e di mattoni. I ragazzi furono costretti a camminare per tre ore in un polverone che mozzava il respiro, e così giunsero tardi a Casale, dove però monsignor Calabiana era ancora alzato per attenderli. Un grande amico di Don Bosco, che in quella occasione mise a disposizione dei ragazzi dell'Oratorio il Seminario.
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Il 9 ottobre 1861 si spinsero fino al Santuario di Crea in pellegrinaggio. Ebbero la possibilità di ammirare le numerose e originali cappelle. I frati Minori, dapprima intimoriti dal gran fracasso prodotto da quella turba, ma poi cordialissimi e accoglienti, trovarono il modo di sfamarli e ristorarli donando tutto ciò che avevano in dispensa.
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Don Bosco e i suoi ragazzi furono particolarmente affezionati a Villa San Secondo e vi fissarono l'accampamento due volte.
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Dal 1859, le passeggiate cambiarono formula: invece di tornare ogni sera ai Becchi, i ragazzi facevano tappa e pernottavano in paesi diversi. E fu così che raggiunsero Canterano, dove il 3 ottobre del 1859 si esibirono in una recita farsesca, intitolata Gianduia; e poi Cortandone, Cortazzone e Montechiaro.
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Il piccolo cimitero di Mondonio, che conservava le spoglie di Domenico Savio era uno dei luoghi più cari. Accolti da papà Carlo Savio e da mamma Brigida, i ragazzi dell'Oratorio venivano qui ogni anno in pellegrinaggio, per pregare sulla tomba del loro caro amico.
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Questo antico olmo dal tronco incavato restò impresso nella memoria dei ragazzi. Un curioso ciabattino, infatti, lo aveva scelto come laboratorio. A tale scena don Cagliero si ispirerà nella composizione della romanza Il ciabattino. Nella diapositiva: l'olmo e un'antica illustrazione delle passeggiate.
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Durante la passeggiata del 1861, i ragazzi dell'Oratorio furono ospiti, a Passerano, dei conti Radicati; a Primeglio dei marchesi Doando, che per loro fecero uccidere un vitello. Raggiunsero poi Montiglio e Montechiaro, per arrivare a Villa nella serata dell'8 ottobre. Di qui raggiunsero Castello Merli e Ponzano, un paese caro a Don Bosco, che nel 1841 vi si recò per salutare il suo antico maestro di scuola Don Lacqua.
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Di Alfiano, visitato nelle passeggiate del 1859 e del 1861, Don Bosco conservava ricordi particolarmente cari. Nella chiesa del paese si era cimentato nelle prime esperienze di predicatore quando, ancor chierico, vi era stato invitato per la festa del Rosario nel 1837 e per l'Assunta del 1838.
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Da Villa San Secondo ci si muoveva in ogni direzione: c'era solo l'imbarazzo della scelta, tanti erano i luoghi suggestivi da visitare. E così nel gergo dell'Oratorio il paese di Corsione diventerà sinonimo di benessere, tanto era generoso il parroco. A Cossombrato c'era ad accoglierli il conte Peletta, mentre il conte Pallio preparava per tutti, nel suo castello di Rinco, polenta e merluzzo. Altre tappe famose furono Alfiano e il castello di Frinco.
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Il soggiorno a Villa San Secondo, per l'importanza che vi annetteva Don Bosco, fu uno dei più famosi delle passeggiate autunnali. Momento centrale era la festa della Madonna delle Grazie, venerata in questa cappella. La presenza dei giovani di Valdocco con la banda, la Messa cantata e il teatro, ma soprattutto il loro buon esempio, coinvolgevano l'intera popolazione.
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Il paese di Albugnano si trova su uno dei colli più alti del Monferrato (m. 549), da cui si gode uno splendido panorama: la cerchia delle Alpi e la pianura piemontese-lombarda. Nei suoi dintorni abbiamo la storica e artistica abbazia di Vezzolano, mèta turistica anche per i giovani di Don Bosco.
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Parroci e nobili benefattori offrivano ai giovani ospitalità. Generalmente dormivano sui fienili o in stanzoni su uno strato di paglia. La prima mèta era sempre Castelnuo-vo, dove il teologo Cinzano preparava un'enorme polenta gialla con un succoso contorno di salsicce e generoso vino.
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I giorni successivi alla festa venivano impegnati in escursioni e visite sui colli monfer-rini. La giovanile comitiva entrava nei paesi al suono della banda e vi portava l'allegria del teatro e il buon esempio della pietà.
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Le passeggiate autunnali furono una delle idee più originali scaturite dall'intuito pedagogico di Don Bosco e dal suo zelo pastorale. Egli era solito recarsi ogni anno ai Becchi la prima domenica di ottobre per la festa del Rosario. Dal 1850 in poi portò con sé anche un gruppo sempre più numeroso di ragazzi.
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La sua vita è diventata un esempio talmente significativo che la chiesa ha voluto proporlo all'attenzione di tutti i cristiani. Beatificata il 20 giugno 1951, la sua salma si venera nella Basilica di Maria Ausiliatrice, accanto a quella di Don Bosco.
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Il cuore nascosto dell'Istituto che cresce continuamente è una donna umile, dal volto contadino, ricca di finezza e di forza, di dolcezza e di determinazione.
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Lo slancio apostolico cresce. Anche la Superiora Generale chiede di andare in missione. La seconda spedizione, composta da cinque suore, è guidata da sr. Angela Val-lese. Dall'Uruguay, all'Argentina, alla Terra del Fuoco l'impegno delle Figlie di Maria Ausiliatrice si moltiplica.
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9 novembre 1877: una grande spedizione missionaria, formata da Salesiani e dalle prime missionarie Figlie di Maria Ausiliatrice viene ricevuta da Pio IX. Madre Mazzarello è presente accanto alle sue figlie e rimane molto colpita dalla paternità e dalla stima per Don Bosco espressa dal Pontefice. La prima destinazione missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice è l'Uruguay.
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Mornese si rivela presto un ambiente non adatto, stante la collocazione geografica, alle necessità di una casa madre religiosa. I conti Balbo consigliano a Don Bosco la soluzione ideale: l'acquisto dell'ex-convento della Madonna delle Grazie, a Nizza Monferrato. Dopo i lavori di restauro, la nuova casa diventa agibile e il 4 febbraio 1879 Maria Mazzarello riceve l'ordine di recarsi alla nuova sede. Per 50 anni, Nizza Monferrato sarà il centro propulsore dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, grazie all'azione materna e saggia di Madre Mazzarello.
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Due anni dopo, Don Bosco deciso ormai a dare alla nuova congregazione una struttura regolare e definitiva, raduna le suore, invoca assieme ad esse lo Spirito Santo e le invita a procedere all'elezione della superiora. Tutti i voti vanno a Maria Domenica Mazzarello, con la totale e soddisfatta approvazione di Don Bosco.
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L'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice nasce ufficialmente il 5 agosto 1872, nel collegio di Mornese. Trovata la donna forte che serviva alla sua opera, Don Bosco le affida la guida del gruppo. Maria Mazzarello accetta pensando ad un incarico provvisorio e chiede a Don Bosco di mandare in fretta la superiora.
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Questa casa, che stava sorgendo col concorso universale della popolazione del paese di Mornese, doveva essere un collegio salesiano destinato all'educazione dei ragazzi. Ma a costruzione finita, Don Bosco decide di insediarvi le figlie dell'Immacolata, con a capo Maria Mazzarello. Sarà la prima Casa Madre della seconda famiglia salesiana.
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Il primo incontro di Don Bosco con Maria Mazzarello risale al 1864: è subito profonda sintonia di spirito. Le parole del prete torinese alle Figlie dell'Immacolata, ma anche quelle rivolte alla gente, scatenano nell'animo di Maria Mazzarello un tumulto di sensazioni e di interessi: vorrebbe che non la smettesse mai di parlare.
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La chiesa parrocchiale di Mornese ha storie molto interessanti da raccontare: per tanti anni ha visto Maria Mazzarello arrivare al mattino presto per assistere alla messa; ha ascoltato la sua promessa di verginità, fatta a quindici anni; ha vegliato su di lei quando, arrivata troppo presto, attendeva sul sagrato lo spalancarsi della porta.
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Il frutto più bello di questa terra si chiama Maria Domenica Mazzarello, nata in questa casa, nella frazione dei Mazzarelli, il 9 maggio 1837. Prima di sette figli, Maria Domenica entra a far parte della Pia Unione delle figlie dell'Immacolata, un gruppo di ragazze impegnate, che diventerà il nucleo costitutivo dell'Istituto delle figlie di Maria Ausiliatrìce.
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Mornese, centro agricolo dell'Alessandrino, di orìgine medioevale. Un paese come tanti, se nella sua storia non fosse entrata la personalità di Don Bosco e l'allegrìa dei suoi ragazzi, che ne fecero la méta di una memorabile scampagnata, nel 1864. La gente di Mornese — lo afferma Don Bosco stesso — aveva due sole passioni: il lavoro e la fede.
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L'amicizia di Achille Ratti con Don Bosco risaliva al 1883, anno in cui egli era venuto a Torino per visitare l'opera salesiana. Cordialità e simpatia nacquero subito tra l'anziano educatore e il giovane prete. Fu proprio Achille Ratti, divenuto Papa Pio XI, a beatificare e a canonizzare Don Bosco.
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Entrato a 14 anni all'Oratorio (siamo nel 1886), Luigi Orione rimase subito affascinato da Don Bosco e ottenne il privilegio di confessarsi da lui, ormai allo stremo delle forze. Un incontro determinante. Divenuto sacerdote e, a sua volta, fondatore di una Congregazione, Luigi Orione è stato proclamato beato dalla Chiesa, e avviato agli onori degli altari.
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Il teologo Leonardo Murialdo nato a Torino nel 1828, contemporaneo e grande amico di Don Bosco, divenne suo stretto collaboratore e aiutante negli oratori per molti anni. Nominato da Don Bosco direttore dell'Oratorio di san Luigi, a Porta Nuova, ne fece un modello di centro giovanile. Nel 1873 fondò a sua volta la Congregazione di san Giuseppe per il servizio ai giovani. Fu canonizzato il 3 maggio 1970.
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Dopo cent'anni, Torino ebbe nuovamente un cardinale nella persona di monsignor Gaetano Alimonda. La bontà del cardinale — scrisse Don Ceria — fu per Don Bosco un provvidenziale conforto negli ultimi quattro anni della sua vita. Durante l'ultima malattia del santo, il cardinale faceva persino anticamera pur di vederlo e abbracciarlo. Don Bosco ebbe modo di dirgli: Le raccomando la mia Congregazione. Sia il protettore dei Salesiani....
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Il canonico Giuseppe Sarto, poi papa Pio X, conobbe l'opera di Don Bosco nel 1875, ed ebbe modo di sperimentare personalmente la grande povertà in cui si viveva all'Oratorio. Sarà il Papa che renderà ufficiale la pratica della comunione frequente, che Don Bosco aveva già da anni adottato con i suoi giovani. Per volontà di Giovanni XXIII, condividerà con Don Bosco una giornata di gloria, I'll maggio 1959: le urne contenenti i corpi dei due santi furono portate in trionfo assieme per le vie di Roma.
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Successore di Pio IX, Leone XIII comprese subito l'importanza dell'opera di Don Bosco per la Chiesa. Volle essere iscritto tra i Cooperatori salesiani e affidò a Don Bosco il completamento della basilica del Sacro Cuore in Roma: un'impresa ai limiti dell'impossibile. In occasione della consacrazione della Basilica, Leone XIII espresse così la sua amicizia: Io vorrei essere tutto per i Salesiani... Dio stesso vi guida e sostiene la vostra Congregazione. Ditelo, scrivetelo, predicatelo.
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Monsignor Lorenzo Gastaldi, vescovo di Saluzzo, fu messo a capo della diocesi di Torino da Pio IX, su espresso consiglio di Don Bosco. I due erano amici di famiglia; la madre del vescovo aveva lavorato per molti anni all'Oratorio e considerava Don Bosco come un figlio. Nonostante questo, la relazione del vescovo con Don Bosco si caricò progressivamente di incomprensioni e di tensioni, anche per effetto di calunnie e maldicenze. Per Don Bosco fu una delle esperienze sacerdotali più drammatiche
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Monsignor Riccardi dei Conti di Netro, successore di monsignor Fransoni, aveva fatto dei progetti su Don Bosco, che considerava un amico, e pensava di affidargli i seminari di Giaveno e di Bra, nel programma di ristrutturazione della diocesi. Ma Don Bosco aveva già fondato la sua Congregazione religiosa e non potè soddisfare il desiderio del suo vescovo, che non mancò, in seguito, di fargli pesare la cosa.
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Silvio Pellico, uno fra i più celebri patrioti italiani, concluse la sua avventura politica a Torino, come segretario della marchesa Barolo. E qui scriverà: Le mie prigioni. Divenuto amico di Don Bosco, dette al giovane prete utili indicazioni per la stesura dei suoi libri popolari, e scrisse per lui i testi di alcuni canti religiosi.
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Urbano Rattazzi, ministro degli interni nei governi Cavour. Un anticlericale duro, che però protesse sempre Don Bosco, consigliandogli la soluzione legale per fondare la sua Congregazione, senza pericolo di vedersela sopprimere. È stato Rattazzi a concedere a Don Bosco il permesso di portare a passeggio i ragazzi del carcere minorile della Generala, ricevendone una lezione di pedagogia.
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Camillo Benso, conte di Cavour, primo Ministro nel 1852, fu la mente politica del progetto di unificazione dell'Italia. Stimava Don Bosco, e teneva ad assicurargli la sua totale disponibilità. Ma Io scontro durissimo tra Stato e Chiesa da lui voluto o sostenuto compromise l'antica amicizia. Rimase il rispetto reciproco.
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Vittorio Emanuele n, figlio di Carlo Alberto, conosceva Don Bosco e non lesinava aiuti ai suoi ragazzi. Ma l'approvazione della legge di sopressione degli Ordini Religiosi gli procurò l'invio, da parte di Don Bosco, di due lettere profetiche, in cui si annunciavano grandi funerali a corte. Nei primi cinque mesi del 1855 morirono la madre, la moglie, il fratello e il figlio minore del re. Vittorio Emanuele, furioso e spaventato, tentò di parlare con Don Bosco per ben due volte, scendendo di persona a Valdocco, ma non riuscì mai ad incontrarsi con il prete-profeta.
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Il re Carlo Alberto dì Savoia regnò in Piemonte dal 1831 al 1849, quando abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Molto amico del Cottolengo, stimava anche molto Don Bosco ed intervenne direttamente sul sindaco di Torino, Michele Cavour, perché la sua opera non venisse proibita.
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D cardinale Giovanni Mastai-Ferretti fu eletto papa nel giugno del 1846. È quel Pio IX, protagonista di una delle pagine più movimentate e controverse della storia italiana. Amicissimo di Don Bosco, ne incoraggiò l'opera, lo consigliò di fondare la Congregazione Salesiana e al suo parere ricorse in momenti delicatissimi, trovando nel prete di Torino un sostenitore deciso e un consigliere intelligente. A Pio IX, direttamente, si deve l'approvazione definitiva delle Regole della Congregazione Salesiana.
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Mons. Luigi Fransoni, vescovo di Torino dal 1832, ordinò sacerdote Don Bosco il 5 giugno 1841. La stima del vescovo per il suo giovane prete fu sempre molto grande e divenne anche partecipazione diretta alla vita dell'Oratorio, che definì la parrocchia dei ragazzi senza parrocchia. Deciso oppositore della politica liberale e dell'anticlericalismo dominante, monsignor Fransoni pagò di persona la sua coerenza di pastore. Esiliato, arrestato ed espulso dal Piemonte, morì esule a Lione nel 1862
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La marchesa Giulia Francesca di Colbert, sposa del marchese Carlo Tancredi Fallet-ti di Barolo, sindaco di Torino nel 1825, era una donna molto conosciuta e rispettata nell'aristocrazia torinese. Rimasta vedova, la marchesa si impegnò in molte opere di asistenza sociale, in prevalenza destinate a donne e ragazze in difficoltà. Accolse Don Bosco come cappellano pensando di poterlo avere in seguito come direttore spirituale del suo Ospedaletto. Ma i progetti di Don Bosco non coincidevano con i suoi. Non si giunse alla rottura, ma il rapporto della Marchesa con Don Bosco progressivamente si raffreddò.
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E questo è il teologo Borei, chiamato il padre piccolo: un sacerdote buono ed arguto, che non si rifiuta di prendersi in carico il giovane prete presentatogli da Don Cafasso. Lavorando assieme al Rifugio fondato dalla marchesa Barolo, i due sacerdoti divennero molto amici. All'Oratorio i ragazzi apprezzavano il teologo Borei come predicatore, per la sua parlata dialettale, per i proverbi e le trovate con cui arrichiva il discorso.
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La galleria dei personaggi più significativi, entrati nella vita di Don Bosco, si apre con Giuseppe Cafasso, il sacerdote conosciuto come il Santo della forca. Amico, maestro e guida spirituale di Don Bosco, fu lui a metterlo a diretto contatto con le situazioni più drammatiche dei giovani del tempo.
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Tre giorni prima della morte di Don Bosco, il 28 gennaio 1888, i missionari salesiani raggiunsero l'Ecuador. Dopo un inizio stentato, quella missione divenne fiorente. Al di qua della Cordigliera si aprirono centri vastissimi per i ragazzi del popolo. Al di là, i Salesiani raggiunsero in piena selva gli indios Shuar, e ne divennero gli strenui difensori.
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Accanto ai Salesiani, per le missioni partirono anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, nella spedizione del 1877. Nel 1880 erano già nelle postazioni avanzate, a prendersi cura delle poverissime famiglie indios. Annunciando la loro partenza, un giornale di Buenos Aires scrisse: Sarà la prima volta da che il mondo esiste, che si vedranno suore in quelle remote terre australi.
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Don Costamagna, seguendo un reparto dell'esercito argentino, fu il primo salesiano a raggiungere la favolosa terra degli indios, la Patagonia. Era il 24 maggio 1879. Scrìsse: Alle 16,34, nel momento in cui il sole tramontava dietro la Cordigliera, mettevo piede sulle sponde della Patagonia. E intonai dal fondo del cuore un inno di grazie alla nostra cara madre l'Ausiliatrice, nel giorno della sua festa.
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La diapositiva ritrae un missionario Salesiano che celebra la Messa per un gruppo di indios Ona. Decine di missionari difesero instancabilmente gli indigeni. Ma essi erano stati contagiati dalle malattie di cui i bianchi erano portatori. Fiaccate dall'alcool offerto dagli stessi bianchi, le varie tribù si estinsero rapidamente.
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Un gruppo di indios Ona, oggi del tutto scomparsi. Don Bosco aveva visto in sogno queste genti lontanissime. Raccontò: Vidi turbe di uomini che percorrevano un'immensa pianura. Altri venivano alle mani con soldati vestiti all'europea... Erano vestiti soltanto di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle.
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Don Fagnano fu il primo parroco di Patagònes, un agglomerato di abitazioni sul Rio Negro. Nello spazio di dieci mesi tirò su due scuole per ragazzi e ragazze, tra cui i figli di indios. Patagònes divenne il punto strategico da cui missionari itineranti s'inoltravano per vallate, colline e montagne, a visitare i toldos degli indios e la fazen-das dei coloni bianchi.
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La più grande opera dei missionari salesiani fu la difesa degli indios Araucani. Manuel Namuncurà, l'ultimo grande cacico di questo popolo, scelse i Salesiani come medìatorì di pace con l'esercito argentino. Depose le armi nel forte Roca il 15 maggio 1883. In un incontro con Don Cagliero, consacrato Vescovo missionario, gli affidò il giovane figlio Zefirino
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Dopo un viaggio lunghissimo e avventuroso verso il Sud dell'Argentina, i Salesiani entrano nelle terre degli indios nel 1879. Fondano le prime missioni a Patagònes e a Viedma, alla foce del Rio Negro. All'inizio del 1900 l'opera salesiana di Viedma mostrava questa salda struttura.
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La seconda spedizione di missionari arriva in Argentina nel 1876. Buona parte di essi sono per l'Uruguay. Il Delegato Apostolico ha manifestato a Don Bosco una situazione dolorosissima: in tutto l'Uruguay non esiste un seminario, un chierico, una scuola cattolica. I Salesiani aprono una scuola a Villa Colon, nella periferia della capitale.
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Approdano a Buenos Aires, in Argentina, il 14 dicembre 1875. S'imbatterono subito in una realtà inattesa e cruda: gli emigrati italiani. 30 mila in Buenos Aires, 300 mila in tutta la nazione. Tra essi i Salesiani iniziarono la prima, urgente missione. I risultati furono grandi.
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Ognuno dei partenti aveva con sé un foglietto con 20 ricordi speciali scritti da Don Bosco. Li aveva tracciati a matita sul suo taccuino durante un viaggio in treno. Il primo diceva: Cercate anime, non denari né onori né dignità.
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La sera del 29 gennaio 1875, davanti a tutta la comunità radunata, Don Bosco diede un annuncio entusiasmante: I Salesiani stanno per partire per le missioni della Patagonia. Cerco volontari per questa splendida avventura. Partirono in dieci, la sera dell'11 novembre. Li capeggiava Don Giovanni Cagliero, 37 anni.